Il centro di tutta l’esperienza cristiana è sperimentare un’Amore che
ti salva perché ti cambia la vita e ti rende capace di diventare davvero te
stesso in maniera libera. Quest’Amore non è mai qualcosa di astratto, è invece
l’incontro concreto con la Persona di Gesù Cristo. E’ in Lui che facciamo
esperienza dell’Amore che salva e che ci mette davvero al mondo.
Nei racconti dell’infanzia c’è un episodio che vede protagonisti i
Magi, ed è utilissimo rileggerlo per capire ciò che vorrei spiegare: “Ed
ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse
e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella,
essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il
bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro
scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt
2,9-11). C’è una stella che guida questi sapienti, e attraverso anche strade
sbagliate (non dimentichiamo che domandarono notizie anche ad Erode scatenando
poi la strage degli innocenti), arrivano finalmente davanti a quel luogo
sperduto della Galilea dove Gesù era nato.
Il Vangelo ci racconta che
“Entrati nella casa, videro il
bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono”. La descrizione è
precisa ed asciutta. Non ci sono molte cose importanti dentro quel posto, solo “il bambino e sua Madre”. Eppure dietro
quella povertà, semplicità e apparente insignificanza quegli uomini capiscono
di trovarsi davanti a Dio, davanti a Qualcuno che bisogna “adorare”: “…e prostratisi lo adorarono”. Capiscono
d’un tratto che nascosto dietro quel bambino nudo, povero, in compagnia di sua
madre e il contorno di un tugurio, c’è tutto Dio. E’ lo sguardo d’intelligenza
che ci dona la fede. Cioè lo sguardo che sa intus
legere, cioè leggere dentro le
cose.
La fede esige da noi intelligenza non ingenuità.
Solo usando la nostra intelligenza possiamo riconoscere dietro quel
bambino il Figlio di Dio, il centro dell’universo e della storia, lo scopo di
ogni vita, della nostra vita. Forse per questo Gesù si continua ad offrire a
noi così come si è offerto ai magi. Continua ad offrirsi a noi come qualcosa da
cercare, da riconoscere e da adorare.
Ecco cos’è l’Eucarestia, è la stessa esperienza dei Magi.
Lì c’è Gesù, il Figlio di Dio, ieri come bambino indifeso e oggi come
pane fragile.
L’adorazione eucaristica è un esercizio dell’intelligenza della nostra
fede. E’ rinnovare la stessa esperienza dei Magi e dei pastori, come di Maria e
di Giuseppe, o di Simeone o di chiunque altro è riuscito a vedere ciò che c’è
dentro l’umanità di quel bambino/uomo.
Ma adorare è un atto d’amore, non un atto doveristico.
Un soldato ha il dovere di guardare a vista un prigioniero affinchè
non scappi. Per lui è un dovere non un atto d’amore.
L’adorazione invece assomiglia allo sguardo di una madre che di notte
si alza e senza far rumore guarda tutta innamorata e commossa il proprio figlio
dormire. Assomiglia ad un amante che si mette in silenzio e guarda la persona
amata senza dire una parola, perché è innamorato e il solo volto di chi si ama
vale un’intera vita. E’ questa l’adorazione che dobbiamo imparare. Un cristiano
che non guarda all’eucarestia con questa tenerezza, con questa necessità, con
questo bisogno profondo, forse è più discepolo di una dottrina che di una
Persona.
Il nostro vero problema però è che tutto ciò è molto bello ma quando
ci mettiamo lì in silenzio davanti all’Eucarestia, il silenzio porta con sé un
rumore assordante di pensieri ed emozioni. Ci sentiamo in ansia, costretti,
impauriti. Vorremmo scappare, perché non siamo abituati a stare in silenzio,
non siamo abituati a guardare così chi si ama. Non siamo abituati a questa
gratuità.
In questo senso
l’adorazione è una lotta per la pace. Non dobbiamo pensare che l’adorazione
silenziosa sia una raccolta punti sulla schedina dei nostri meriti. Non è un
dovere, è un’esigenza. Allo stesso tempo non dobbiamo pensare che
quell’adorazione è valida per le sensazioni positive che ci lascia dentro. Il
valore di quel tempo che ci prendiamo ogni settimana davanti all’eucarestia
(sarebbe bello ogni giorno!!) è misurato dalla lotta che facciamo per dire: “Tu Signore sei qui, nascosto in questo
pane. E Tu vali di più della mia voglia di scappare, delle mie preoccupazioni,
dei miei umori. Anzi Signore adesso farò mettere tutti i miei pensieri in
ginocchio davanti a Te e Te li presenterò tutti, uno ad uno. Farò in modo che
tutta l’angoscia, dolore o apatia che mi porto dentro Ti adori, Ti mandi un
bacio, Ti dica Ti amo!”. E
mentre noi cerchiamo di far questo Gesù non rimane con le braccia conserte, “sa
di cosa abbiamo bisogno prima ancora che glielo chiediamo”.
Siamo lì per Lui, non per noi. Non andiamo davanti a quell’Eucarestia
solo a prendere, ma soprattutto a dare. Gli offriamo un po la nostra spalla, il
nostro tempo, il nostro esserci. “Sono
qui per Te Signore. Sono qui per farTi compagnia nel Tuo sentirTi a volte solo,
povero e abbandonato. Così come Lo sei stato nell’orto degli ulivi quando i
tuoi amici si addormentarono e ti lasciarono solo. Anche a noi viene il sonno,
ma vogliamo lottare per stare svegli qui. Vogliamo dirTi che Ti amiamo e che
puoi contare su di noi”. Più passa il tempo e più questa educazione che ci
viene dall’adorazione imprime dentro di noi la Sua Presenza. Noi siamo forti
non di una cosa che abbiamo capito ma di Qualcuno che è con noi sempre fino
alla fine del mondo. La Presenza dice che tu non sei solo, e quando non ci si
sente soli si trova anche la forza di affrontare cose difficili e faticose. Aveva
ragione papa Benedetto XVI a dire che “chi crede non è mai solo!”. Ma questa
Presenza, questa compagnia deve crescere come una consapevolezza dentro
ciascuno di noi. L’educazione eucaristica che ci viene dall’adorazione è una di
quelle cose che dobbiamo recuperare accanto agli esercizi di realtà come mezzo
efficace nella crescita della nostra vita spirituale. Nella vita di tutti i
giorni facciamo esperienza del fatto che un rapporto si fortifica se tu passi
del tempo con quella persona, fai qualcosa insieme a lui, lo frequenti, magari
ci vivi insieme. Qualcosa del genere è nella vita spirituale, la crescita del
nostro rapporto con Dio non viene dall’acquisire nuove idee su di Lui ma dal
fare delle cose con Lui, dal viverci insieme, dal passare del tempo insieme.
Passare davanti ad una Chiesa e fermarsi 2 minuti davanti al tabernacolo è come
fermarsi davanti a una persona che si ama e dirgli: “ti sto pensano, come stai?
Ti voglio bene”. Torniamo ad essere così.
Mi piace concludere con i tre doni che i magi offrirono a Gesù
Bambino: “Poi aprirono i loro scrigni e
gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” . In questi tre doni vorrei
vedere tutto ciò che di possibile possiamo dare a Lui: ci saranno giorni che
andando davanti a Lui potremmo offrirgli cose belle e preziose come una gioia,
un successo per qualcosa, un risultato, un proposito mantenuto, una situazione
superata, ecco l’oro; altri giorni magari non avremo risultati e potremmo
offrirgli solo gli sforzi che facciamo e la fatica del vivere, ecco l’incenso;
altre volte gli potremo offrire solo quel lato di “morte” della nostra vita,
fallimenti, sofferenze, peccati, cadute, incoerenze, ecco la mirra. Non c’è una
cosa che viviamo che non possiamo trasformare in dono per Lui. Non è dono solo
ciò che a noi pare bene, è dono tutto ciò che tu sei disposto a dare, a
offrire. E se per tutta la vita gli potremmo offrire solo i nostri peccati Egli
li prenderà in mano come un mazzo di fiori di campo che un figlio raccoglie per
la propria mamma, e li metterà vicini al Suo petto come il tesoro più prezioso
che ha ricevuto. Perché? Perché ci ama, e l’amore è così.
Bellissima istruzione per l' "uso"!!!
RispondiEliminaQuesta istruzione la mediterò per ferne "uso" alla prossima adorazione. Semplicemenbte grazie.
RispondiEliminaQuesta riflessione la porto sempre con me
RispondiEliminaGrazie.
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