lunedì 9 dicembre 2013

Adorazione silenziosa (istruzioni per l'uso)




Il centro di tutta l’esperienza cristiana è sperimentare un’Amore che ti salva perché ti cambia la vita e ti rende capace di diventare davvero te stesso in maniera libera. Quest’Amore non è mai qualcosa di astratto, è invece l’incontro concreto con la Persona di Gesù Cristo. E’ in Lui che facciamo esperienza dell’Amore che salva e che ci mette davvero al mondo.
Nei racconti dell’infanzia c’è un episodio che vede protagonisti i Magi, ed è utilissimo rileggerlo per capire ciò che vorrei spiegare: Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt 2,9-11). C’è una stella che guida questi sapienti, e attraverso anche strade sbagliate (non dimentichiamo che domandarono notizie anche ad Erode scatenando poi la strage degli innocenti), arrivano finalmente davanti a quel luogo sperduto della Galilea dove Gesù era nato.
Il Vangelo ci racconta che  “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono”. La descrizione è precisa ed asciutta. Non ci sono molte cose importanti dentro quel posto, solo “il bambino e sua Madre”. Eppure dietro quella povertà, semplicità e apparente insignificanza quegli uomini capiscono di trovarsi davanti a Dio, davanti a Qualcuno che bisogna “adorare”: “…e prostratisi lo adorarono”. Capiscono d’un tratto che nascosto dietro quel bambino nudo, povero, in compagnia di sua madre e il contorno di un tugurio, c’è tutto Dio. E’ lo sguardo d’intelligenza che ci dona la fede. Cioè lo sguardo che sa intus legere, cioè leggere dentro le cose.
La fede esige da noi intelligenza non ingenuità.
Solo usando la nostra intelligenza possiamo riconoscere dietro quel bambino il Figlio di Dio, il centro dell’universo e della storia, lo scopo di ogni vita, della nostra vita. Forse per questo Gesù si continua ad offrire a noi così come si è offerto ai magi. Continua ad offrirsi a noi come qualcosa da cercare, da riconoscere e da adorare.
Ecco cos’è l’Eucarestia, è la stessa esperienza dei Magi.
Lì c’è Gesù, il Figlio di Dio, ieri come bambino indifeso e oggi come pane fragile.
L’adorazione eucaristica è un esercizio dell’intelligenza della nostra fede. E’ rinnovare la stessa esperienza dei Magi e dei pastori, come di Maria e di Giuseppe, o di Simeone o di chiunque altro è riuscito a vedere ciò che c’è dentro l’umanità di quel bambino/uomo.
Ma adorare è un atto d’amore, non un atto doveristico.
Un soldato ha il dovere di guardare a vista un prigioniero affinchè non scappi. Per lui è un dovere non un atto d’amore.
L’adorazione invece assomiglia allo sguardo di una madre che di notte si alza e senza far rumore guarda tutta innamorata e commossa il proprio figlio dormire. Assomiglia ad un amante che si mette in silenzio e guarda la persona amata senza dire una parola, perché è innamorato e il solo volto di chi si ama vale un’intera vita. E’ questa l’adorazione che dobbiamo imparare. Un cristiano che non guarda all’eucarestia con questa tenerezza, con questa necessità, con questo bisogno profondo, forse è più discepolo di una dottrina che di una Persona.
Il nostro vero problema però è che tutto ciò è molto bello ma quando ci mettiamo lì in silenzio davanti all’Eucarestia, il silenzio porta con sé un rumore assordante di pensieri ed emozioni. Ci sentiamo in ansia, costretti, impauriti. Vorremmo scappare, perché non siamo abituati a stare in silenzio, non siamo abituati a guardare così chi si ama. Non siamo abituati a questa gratuità.
 In questo senso l’adorazione è una lotta per la pace. Non dobbiamo pensare che l’adorazione silenziosa sia una raccolta punti sulla schedina dei nostri meriti. Non è un dovere, è un’esigenza. Allo stesso tempo non dobbiamo pensare che quell’adorazione è valida per le sensazioni positive che ci lascia dentro. Il valore di quel tempo che ci prendiamo ogni settimana davanti all’eucarestia (sarebbe bello ogni giorno!!) è misurato dalla lotta che facciamo per dire: “Tu Signore sei qui, nascosto in questo pane. E Tu vali di più della mia voglia di scappare, delle mie preoccupazioni, dei miei umori. Anzi Signore adesso farò mettere tutti i miei pensieri in ginocchio davanti a Te e Te li presenterò tutti, uno ad uno. Farò in modo che tutta l’angoscia, dolore o apatia che mi porto dentro Ti adori, Ti mandi un bacio, Ti dica Ti amo!”.  E mentre noi cerchiamo di far questo Gesù non rimane con le braccia conserte, “sa di cosa abbiamo bisogno prima ancora che glielo chiediamo”.
Siamo lì per Lui, non per noi. Non andiamo davanti a quell’Eucarestia solo a prendere, ma soprattutto a dare. Gli offriamo un po la nostra spalla, il nostro tempo, il nostro esserci. “Sono qui per Te Signore. Sono qui per farTi compagnia nel Tuo sentirTi a volte solo, povero e abbandonato. Così come Lo sei stato nell’orto degli ulivi quando i tuoi amici si addormentarono e ti lasciarono solo. Anche a noi viene il sonno, ma vogliamo lottare per stare svegli qui. Vogliamo dirTi che Ti amiamo e che puoi contare su di noi”. Più passa il tempo e più questa educazione che ci viene dall’adorazione imprime dentro di noi la Sua Presenza. Noi siamo forti non di una cosa che abbiamo capito ma di Qualcuno che è con noi sempre fino alla fine del mondo. La Presenza dice che tu non sei solo, e quando non ci si sente soli si trova anche la forza di affrontare cose difficili e faticose. Aveva ragione papa Benedetto XVI a dire che “chi crede non è mai solo!”. Ma questa Presenza, questa compagnia deve crescere come una consapevolezza dentro ciascuno di noi. L’educazione eucaristica che ci viene dall’adorazione è una di quelle cose che dobbiamo recuperare accanto agli esercizi di realtà come mezzo efficace nella crescita della nostra vita spirituale. Nella vita di tutti i giorni facciamo esperienza del fatto che un rapporto si fortifica se tu passi del tempo con quella persona, fai qualcosa insieme a lui, lo frequenti, magari ci vivi insieme. Qualcosa del genere è nella vita spirituale, la crescita del nostro rapporto con Dio non viene dall’acquisire nuove idee su di Lui ma dal fare delle cose con Lui, dal viverci insieme, dal passare del tempo insieme. Passare davanti ad una Chiesa e fermarsi 2 minuti davanti al tabernacolo è come fermarsi davanti a una persona che si ama e dirgli: “ti sto pensano, come stai? Ti voglio bene”. Torniamo ad essere così.
Mi piace concludere con i tre doni che i magi offrirono a Gesù Bambino: “Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” . In questi tre doni vorrei vedere tutto ciò che di possibile possiamo dare a Lui: ci saranno giorni che andando davanti a Lui potremmo offrirgli cose belle e preziose come una gioia, un successo per qualcosa, un risultato, un proposito mantenuto, una situazione superata, ecco l’oro; altri giorni magari non avremo risultati e potremmo offrirgli solo gli sforzi che facciamo e la fatica del vivere, ecco l’incenso; altre volte gli potremo offrire solo quel lato di “morte” della nostra vita, fallimenti, sofferenze, peccati, cadute, incoerenze, ecco la mirra. Non c’è una cosa che viviamo che non possiamo trasformare in dono per Lui. Non è dono solo ciò che a noi pare bene, è dono tutto ciò che tu sei disposto a dare, a offrire. E se per tutta la vita gli potremmo offrire solo i nostri peccati Egli li prenderà in mano come un mazzo di fiori di campo che un figlio raccoglie per la propria mamma, e li metterà vicini al Suo petto come il tesoro più prezioso che ha ricevuto. Perché? Perché ci ama, e l’amore è così.


martedì 3 settembre 2013

La vendemmia del diavolo.... (Lettere dal cane/3)


Miei preziosi fratellini,

mi faceva sempre molto sorridere quando in seminario minore, arrivando all'inizio dell'estate e quindi delle vacanze, il nostro padre spirituale citava un'antico adagio in voga nei seminari: "ricordatevi che l'estate è la vendemmia del diavolo". 
Diavolo? 
Cos'è questo diavolo?
Cos'è il male?
Ma posso ancora credere a tutto questo?
Il male non è forse un'azione sbagliata il cui unico responsabile è e rimane l'uomo?

Le "antenne" degli esercizi di realtà... (Lettere dal cane/2)


Miei cari e preziosi fratellini,

torno a scrivervi per condividere con voi alcune considerazioni che credo dobbiamo rimettere al centro della nostra attenzione.

L'opera che Dio sta compiendo attraverso il nostro Si, è un'opera grande e meravigliosa. Ne avverto ogni giorno le vertigini. Ma questo nostro Si non deve mai essere confuso con qualche momento emotivo che è già archiviato nelle cose "già viste" e "già fatte". Il primo vero discernimento che dobbiamo imparare è la differenza tra la "pancia" e il "cuore". La Fraternità è un educazione che Dio sta operando dentro la nostra vita con il cambiamento del "cuore", e non della "pancia"..."toglierò da voi il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne....". Questa educazione non ci cambia le emozioni, cambia la parte più profonda della nostra vita. 
Educazione, nel vangelo, non è psicologia, pedagogia, filosofia, meditazione, riflessione, respirazione, oroscopo, chiaroveggenza....e chi più ne ha più ne metta. Educazione, nella logica del Vangelo, è ciò che Gesù ha fatto con i suoi discepoli. Egli è stato con loro...."...li chiamo perchè stessero con Lui e perchè andassero..."...Il Vangelo ci ricorda che la chiamata che Gesù fa dei suoi discepoli ( e quindi anche la nostra) è una chiamata fatta non solo di verbi in uscita..."andare", ma è innanzitutto fatta di un verbo importantissimo: "stare". Stare con Lui....Gli esercizi di realtà sono un puntare i piedi in questo verbo. Non possono e non devono diventare opzionali. Per noi non è opzionale "stare" con Lui nella maniera che Egli stesso ha suscitato in noi. Questa maniera sono gli esercizi di realtà.

lunedì 2 settembre 2013

Vocare (Lettere dal cane/1)



Vorrei chiarire il senso di fondo della "chiamata alla fraternità". Essa non è "propaganda", nel senso che non va venduta come una nostra idea bellissima a cui far innamorare anche gli altri. Essa è Una "vocazione", cioè una "chiamata di Dio". 

Dopo la "chiamata" alla fede, ciascuno di noi riceve una "chiamata" specifica che lo introduce in una sorta di "vita vera", più intensa, più profonda, più appassionata, appunto più vera. Da cosa la si riconosce che è "più vera"? dal coinvolgimento della nostra libertà. Essa esige da noi una decisione. Senza questa decisione non si dà nessuna  "vita vera". Esattamente come quando si ama qualcuno: non si può parlare di amore finchè non si decide di amare,. Senza questa decisione c'è solo innamoramento, e l'innamoramento è destinato a finire perchè è come un'antipasto... L'amore invece è come il vino, più passa il tempo, più invecchia, più diventa buono e prezioso. Ma ciò che lo rende "vino buono" è l'unione di queste due caratteristiche: "La Grazia che ci chiama", che ci pro-voca (chiamare per),e la decisione personale che io prendo consapevolmente e con tutto me stesso. 

Fatta questa premessa il nostro principale lavoro e impegno deve essere: "pregare il padrone della messe perchè mandi operai nella sua messe".