venerdì 28 settembre 2012

L’Amore e l’amare (Esercizio di realtà/4)




“Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello”. (1Gv 4, 19-21)

La Parola di Dio è carica di amore per il prossimo.
Siamo noi che separiamo i tre amori a cui siamo chiamati (l’amore a noi stessi, l’amore al prossimo, l’amore a Dio).
Quando l’amore funziona, è sempre un amore a se stessi, agli altri e a Dio. Escludere uno di questi amori significa togliersi dalla logica della fede cristiana così come ce l’ha insegnata Gesù Cristo. Per questo un altro esercizio di realtà importantissimo è l’amore.
Solo quando amiamo siamo reali.
Senza amore siamo desiderio, attesa, emozioni, calcolo, strategia, ma non siamo reali. L’Amore e l’amare ci mettono al mondo.
Tutta la vita cristiana è un continuo impegno ad imparare ad amare. Siamo nati con questa vocazione profonda. Se non amiamo stiamo male, e la morte comincia a farsi spazio dentro di noi attraverso la tristezza, il non senso, il male oscuro della depressione. Gesù lo dice chiaramente nel Vangelo di Giovanni: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. (Gv 13,34)
 Questo comandamento è un comandamento che non contraddice tutti gli insegnamenti ricevuti, ma è un comandamento di sintesi; è come voler dire: “in definitiva imparate ad amarvi e capirete ogni cosa”.
Il nostro vero problema è recuperare ciascuno di questi tre amori e cominciare a viverli in unità e non più in maniera separata.

giovedì 27 settembre 2012

La preghiera del Rosario (Esercizi di realtà/3)




C’è una scena raccontata nel Vangelo di Giovanni che rimane significativa per ciascuno di noi: a Maria che sta soffrendo un grande dolore sotto la croce per la morte del Figlio, viene rivolta dallo stesso Figlio morente una parola che la rigenera: “Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv, 19,25). Questa donna umanamente sola, vedova e ora in procinto di perdere anche il suo unico figlio, non rimane realmente sola, ma da quel momento in poi entra in casa di Giovanni (“e il discepolo la prese in casa sua”), da quel momento la maternità di Maria si estende a tutti i discepoli. Sotto la croce il suo dolore diventa il dolore delle doglie di un parto: la nostra nuova rinascita. Maria non abita una chiesa, un santuario, ma è nella casa dei discepoli, cioè nella nostra vita. Siamo noi Giovanni, e finché non inizieremo a fare spazio nella nostra vita a Maria, non capiremo nulla del Vangelo.

mercoledì 26 settembre 2012

L’Eucarestia. (esercizio di realtà/2)





Come cristiani non abbiamo niente di più oggettivo dell’eucarestia. Esattamente come quando si ama qualcuno: ci sono tante cose che ci ricordano questa persona amata, tutto diventa un rimando a lei, ma non c’è niente di più oggettivo di quella persona stessa.
Tra una foto della persona amata e la persona amata noi scegliamo ovviamente la persona amata.
Tra i modi di pensare della persona amata e la persona amata noi preferiamo la persona amata.
Tra un’idea che siamo fatti della persona amata e la persona amata noi preferiamo la persona amata.
Perché insisto molto su questa messa in paragone? Perché nell’eucarestia noi abbiamo realmente ciò che diciamo di amare e a cui crediamo con la nostra fede. Guai togliere l’eucarestia dalla nostra vita di fede! Ciò significherebbe ridurre il cristianesimo a una bella filosofia di vita o a una morale buona. Ma ciò che rende il cristianesimo qualcosa che valga la pena è la Persona di Gesù.
Vorrei che ci rendessimo conto che solo da questo rapporto “personale” con Lui viene fuori la vita da credente. Senza questo “rapporto personale” noi siamo solo più o meno dei seguaci di un’idea, indottrinati bonariamente a vivere onestamente la vita. Ma il cristianesimo è molto di più di una semplice vita vissuta alla buona. Il cristianesimo è la conseguenza di un incontro che ti cambia la vita, perché è l’incontro con una “persona” che non ti lascia più uguale. Gesù è per noi il fulcro più vero e più profondo della nostra fede. Il resto viene come conseguenza e non come presupposto. In questo senso essa diventa una vita buona e non alla buona…

la Parola (esercizi di realtà/1)



Lettura quotidiana della Parola di Dio (non scelta da noi ma scelta dalla Liturgia).

“La Parola di Cristo dimori fra voi abbondantemente.
Ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza” (Col 3,16)

Come fare?

Invocare lo Spirito Santo anche solo con una preghiera semplice ma fatta di cuore come: “Vieni Spirito Santo, Vieni per Maria”. Senza la presenza dello Spirito Santo, la Parola di Dio è per noi solo parola di parole. Ma attraverso lo Spirito questa Parola per noi non è semplicemente una parola in mezzo alle altre, è Parola di Dio, viva e vivificante.

martedì 25 settembre 2012

cosa sono gli esercizi di realtà? (Liberarsi di dio...)



Il primo passo per poter rendere la fede qualcosa di radicalmente rivoluzionario dentro la nostra vita è quello di liberarci di dio. Volutamente dio è scritto con la lettera minuscola. Perché il dio di cui dobbiamo liberarci è quello creato dalla nostra testa, dai nostri ragionamenti, dalle nostre paure, dalla nostra storia, dalla nostra immaginazione. Molto spesso il cristianesimo che ci ha deluso non è quello reale, ma quello che ci siamo creati dentro la nostra testa. Molte volte dio è stato per noi una via di fuga, una droga per scappare dalla realtà, per sopportare delle situazioni, per esorcizzare la paura.

lunedì 24 settembre 2012

"...essa certamente viene da Dio, perciò continuate fiduciosi nel cammino intrapreso..." (Lettera dell'Arcivescovo Giuseppe Molinari alla Fraternità)



L’ Aquila, 9 agosto 2012
Memoria di Santa Teresa Benedetta della Croce

Al reverendissimo
don Luigi Maria Epicoco
Parroco della Parrocchia Universitaria “S. Giuseppe Artigiano”
L’ Aquila



Carissimo don Gino,
ho ricevuto oggi la tua lettera, con la quale mi parli del progetto della “Fraternità”. L’ ho letta attentamente. Poi ho potuto parlare anche con te e mi hai spiegato meglio il “progetto”. Più tardi ho celebrato la S. Messa (questa mattina non avevo celebrato). E mi sono accorto che oggi è la festa di S. Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, nata in una famiglia ebrea a Breslan nel 1891 (ultima di molti fratelli) e morta nella camera a gas di Auschwitz – Birkenau nel 1942. Edith è una personalità affascinante: ebrea e cristiana, filosofa e pedagoga, antesignana di una nuova immagine femminile, intellettuale e carmelitana e oggi venerata nella chiesa dei santi della Chiesa Cattolica. Questa festa di S. Teresa Benedetta della Croce mi sembra un bel “segno” dall’ alto: il primo, piccolo passo di un'approvazione, da parte della Chiesa di questo cammino spirituale, che interessa soprattutto ragazzi e ragazze universitari, si compie proprio nella memoria liturgica di una grande santa moderna, martire, Patrona d’ Europa e grande apostola nel mondo della cultura. Raccomandiamo anche ad Edith, allora, questo piccolo ma affascinante  progetto.
Carissimo don Gino, tu sei venuto a chiedermi un consiglio e una conferma. Ed io, come Pastore di questa Chiesa all’ Aquila, consapevole della grandissima importanza di tutto ciò che si fa per i giovani e, in particolare per i giovani universitari, mi sento di poter dare questi umili e semplici suggerimenti:
1   1. Innanzitutto ringrazio insieme con te il Signore, perché ha ispirato a  te  ad alcuni giovani di iniziare questa esperienza. Essa certamente viene da Dio. Perciò continuate fiduciosi nel cammino intrapreso. E lo Spirito Santo vi illumini sempre di più e vi suggerisca ciò che è più giusto ed utile per voi, che avete già iniziato il cammino, e per quanti in seguito saranno coinvolti in questa bellissima avventura.

domenica 23 settembre 2012

"...ci mancava metterci seriamente insieme..." (lettera all'Arcivescovo)




L’Aquila, 9 agosto 2012



Cara Eccellenza,
metto per inscritto la condivisione che già nei giorni scorsi ho fatto a voce con Lei.
La nascita della Fraternità è stata per ciascuno di noi un dono e un mistero. In me e nei ragazzi abitano le stesse contraddizioni che credo fossero in Maria quando ricevette l’Annuncio dell’Angelo. C’è paura, c’è gioia, c’è attesa, c’è curiosità, c’è il senso del nostro limite e c’è l’immensa Grazia di Dio che ci sovrasta.