Il primo passo per poter rendere
la fede qualcosa di radicalmente rivoluzionario dentro la nostra vita è quello
di liberarci di dio. Volutamente dio è scritto con la lettera minuscola. Perché
il dio di cui dobbiamo liberarci è quello creato dalla nostra testa, dai nostri
ragionamenti, dalle nostre paure, dalla nostra storia, dalla nostra
immaginazione. Molto spesso il cristianesimo che ci ha deluso non è quello
reale, ma quello che ci siamo creati dentro la nostra testa. Molte volte dio è
stato per noi una via di fuga, una droga per scappare dalla realtà, per
sopportare delle situazioni, per esorcizzare la paura.
Ma finito quel momento è tornato a far parte dell’insieme di cose che mettiamo in atto per continuare a rimanere a galla. Finchè non ci libereremo da questo dio soggettivo non potremmo lasciare spazio a Dio vero, quello oggettivo, quello che non è creato dalla nostra testa e dalla nostra immaginazione. Il Dio che ci ha davvero dato la vita, che è venuto al mondo, che è morto per noi, che è Risorto, che ci ha salvati.
Ma finito quel momento è tornato a far parte dell’insieme di cose che mettiamo in atto per continuare a rimanere a galla. Finchè non ci libereremo da questo dio soggettivo non potremmo lasciare spazio a Dio vero, quello oggettivo, quello che non è creato dalla nostra testa e dalla nostra immaginazione. Il Dio che ci ha davvero dato la vita, che è venuto al mondo, che è morto per noi, che è Risorto, che ci ha salvati.
La differenza è seria ed è
sostanziale. Immaginate di stare a camminare in un deserto, il sole picchia, e
il caldo si fa sentire. Il sudore scorre sulla vostra fronte, la bocca vi si
asciuga e la voglia di bere cresce in voi passo dopo passo, ma all’orizzonte
non ci sono oasi, fonti, rubinetti di soccorso. Quel bisogno di acqua, è un
bisogno reale, oggettivo. Non è creato da qualche nostra paranoia o fissazione.
E’ un bisogno vero e concreto. Quale soluzione adottiamo? Quale via d’uscita
scegliamo? Potremmo fermarci, chiudere gli occhi e immaginarci l’acqua.
Convincerci che più penseremo intensamente a quell’acqua più ci disseteremo. A
cosa ci porterà una simile scelta? Alla delusione e alla morte, perché nessuno
sforzo della nostra immaginazione può rispondere a un bisogno concreto che
proviamo. L’acqua non è la creazione di un mio ragionamento. L’acqua è qualcosa
di oggettivo a me. O c’è o non c’è. Non ci sono alternative.
Ugualmente è così per quella sete
di felicità e di senso che portiamo nel cuore. Non è una sete creata da un
nostro capriccio. È una sete vera, concreta, totale. È il bisogno di amare e di
sentirsi amati. Il bisogno di avere un senso, di gustare la vita con una
pienezza che sentiamo premere in noi come mancanza. L’inquietudine che ci
attanaglia è come il rantolo e l’affannarsi di un uomo assetato nel deserto che
cerca disperatamente acqua e riesce con le sue forze solo a portarsi alla bocca
sabbia. In questa esperienza estrema del nostro limite e della nostra sete, è
lì che incontriamo Dio. È lì che capiamo che Lui non è un hobby del fine
settimana, o una tradizione confusa con il folklore dei nostri paesi. Dio è
essenziale a noi, come l’ossigeno per il corpo. Siamo fatti per Lui, come una
pianta è fatta per il sole anche se vive aggrappata alla terra. Quel sole ne è
il principio vitale nascosto, segreto, ma essenziale. E questo Dio non può
coincidere con la nostra immaginazione. Non può essere il Dio creato della
nostra fantasia.
Eppure la stragrande maggioranza
di noi non è “credente”, è semplicemente “credulona”, perché si accontenta di
un dio psicologico, di un dio creato dalla nostra paura e dalla nostra
insicurezza, un dio dipinto dai nostri sensi di colpa e da educazioni non
sempre impeccabili. Molte stagioni della nostra vita le viviamo feriti dalla
delusione che un dio così ci lascia addosso. Dobbiamo liberarci da questo dio,
o non avremo mai spazio e tempo da offrire al Dio Vero. E non lasciare spazio a
questo Dio vero significa non lasciare spazio al Senso della vita che viviamo.
E quando uno non prova, non sente, non percepisce più il senso, man mano perde
interesse nella vita, si deprime, si annichilisce, smette di vivere per al
massimo sopravvivere.
Ma questo capovolgimento avviene
attraverso un esercizio faticoso e costante. Soppiantare un dio soggettivo con
il Dio vero, quello reale, è fatica che costa una decisione profonda da parte
nostra. L’unico ingrediente necessario è l’ingrediente della fedeltà, della
costanza. Non cambierà tutto da un minuto all’altro. Cambierà tutto con il
tempo. Ma non un tempo qualsiasi, ma un tempo nuovo, riempito da “esercizi di
realtà”, che giorno dopo giorno ci riscatteranno dall’isola che non c’è della
nostra testa e ci riporteranno con i piedi per terra, davanti a Lui. Perché la
realtà è il luogo dove Dio parla, dove Dio si manifesta. La differenza che passa
tra la nostra immaginazione e la realtà, è la stessa differenza che passa tra
la fotografia di una persona che amiamo, e la persona che amiamo in carne ed
ossa. Se dovessimo scegliere tra queste due cose cosa sceglieremmo?
Preferiremmo abbracciare una foto? Parlare ad una foto? Dormire con una foto?
Piangere con una foto? Certamente no. Sceglieremo la realtà, che nel bene o nel
male supera sempre la nostra immaginazione. Ma questa scelta è il prodotto di
una “fedeltà quotidiana”, di una “fedeltà costante”. Essere incostanti o
intermittenti, significa fare più danno di ciò che era il punto di partenza. Ma
la fedeltà e la costanza sono cose che si imparano un po alla volta. Dobbiamo
essere pazienti e forti con noi stessi. Risoluti e amorevoli. E come un bambino
un po alla volta impara a camminare e a parlare, anche noi un po alla volta
cominceremo a restare in piedi e a capirci qualcosa.
Non ci resta nient’altro allora
che cominciare a capire cosa sono e come si vivono gli “esercizi di realtà”.
Quanta grazia! Il Signore porti a compimento quest'opera meravigliosa :)
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