Come cristiani non abbiamo niente di più oggettivo dell’eucarestia.
Esattamente come quando si ama qualcuno: ci sono tante cose che ci ricordano
questa persona amata, tutto diventa un rimando a lei, ma non c’è niente di più
oggettivo di quella persona stessa.
Tra una foto della persona amata e la persona amata noi scegliamo
ovviamente la persona amata.
Tra i modi di pensare della persona amata e la persona amata noi
preferiamo la persona amata.
Tra un’idea che siamo fatti della persona amata e la persona amata noi
preferiamo la persona amata.
Perché insisto molto su questa messa in paragone? Perché
nell’eucarestia noi abbiamo realmente ciò che diciamo di amare e a cui crediamo
con la nostra fede. Guai togliere l’eucarestia dalla nostra vita di fede! Ciò
significherebbe ridurre il cristianesimo a una bella filosofia di vita o a una
morale buona. Ma ciò che rende il cristianesimo qualcosa che valga la pena è la
Persona di Gesù.
Vorrei che ci rendessimo conto che solo da questo rapporto “personale”
con Lui viene fuori la vita da credente. Senza questo “rapporto personale” noi
siamo solo più o meno dei seguaci di un’idea, indottrinati bonariamente a
vivere onestamente la vita. Ma il cristianesimo è molto di più di una semplice
vita vissuta alla buona. Il
cristianesimo è la conseguenza di un incontro che ti cambia la vita, perché è
l’incontro con una “persona” che non ti lascia più uguale. Gesù è per noi
il fulcro più vero e più profondo della nostra fede. Il resto viene come
conseguenza e non come presupposto. In questo senso essa diventa una vita buona
e non alla buona…
Una storia d’amore non è vera se si consuma solo nella testa
dell’amante. Eppure molto spesso noi viviamo di vite inventate, pianificate e
sceneggiate dalle nostre teste ma che non hanno nessun legame con la realtà.
Una storia d’amore è sempre un susseguirsi di fatti che nascono da un incontro
ma che poi assumono la forma di una storia vera, perché è la storia di due persone
che con la propria libertà decidono qualcosa, e decidono di viverlo insieme. Da
questo “insieme” scaturisce una vita diversa da com’era prima di
quell’incontro. Analogamente è nella vita di fede. Credere non significa sapere
tante cose della vita, del mondo, dell’universo, del dolore, della speranza,
dell’amore, ma è vivere “insieme” a Lui, strettamente intrecciati alla Sua
Persona, rigorosamente con i piedi per terra e gli occhi spalancati. Tutto
quello che cominciamo poi a sapere è frutto di questa esperienza vissuta
“insieme” a Lui. Il “sapere”
teologico non è squisitamente intellettuale, è frutto di un’esperienza che ad
un certo punto riusciamo anche a raccontare. Questo perché le cose che viviamo
passano attraverso il vaglio del cuore, poi si spingono sino alla testa e in fine
diventano parola da dire.
Dio attraverso Gesù si è inventato una modalità tutta Sua e tutta
originale di rimanere con noi. Questa modalità è l’EUCARESTIA. “io sarò con voi sempre fino alla fine del
mondo”, aveva promesso Gesù ai Suoi discepoli. Ed ecco mantenuta la
promessa. In quel pane e in quel vino noi crediamo che non ci sia solo più
grano e uva, ma crediamo che misteriosamente in essi è nascosta la presenza
reale di Gesù. Come si fa a comprendere una cosa simile? Comprendere non si
può, perché la parola comprendere è come un abbraccio che vuole contenere
qualcosa, ma ci sono cose che non riusciamo a contenere con gli abbracci della
nostra testa. Esattamente come quando ci troviamo davanti al mare e con il
nostro sguardo vogliamo comprenderlo tutto; ad un certo punto dobbiamo
arrenderci al fatto che la nostra capacità di vedere è limitata e noi vediamo
il mare nella misura del nostro campo visivo senza poter dire di riuscire a
vederlo del tutto. Sarebbe sbagliato dire che il mare non esiste semplicemente
perché io non riesco a contenerlo nel mio sguardo. Noi accettiamo che esso
esista anche se non riusciamo a “comprenderlo” del tutto con i nostri occhi,
con le nostre capacità. Nell’eucarestia è più o meno la stessa cosa. Noi
riusciamo a vedere Gesù nella misura del pane e del vino, ma l’abisso e
l’infinito orizzonte che quel pane e quel vino rappresentano rimangono qualcosa
che non riusciamo a comprendere del tutto con le nostre sole forze. Cosa ha
fatto Gesù? Ci ha insegnato che ciò che non riusciamo a contenere può
contenerci. Cioè ci ha insegnato a fare una cosa molto semplice: davanti
all’oceano che non riusciamo a contenere con il nostro sguardo e le nostre
capacità non dobbiamo rimanere delusi o rassegnati. Dobbiamo fare qualcosa di
audace, di creativo, di diverso, di più profondo: dobbiamo tuffarci dentro. Da
quell’istante è l’oceano ad aver compreso me perché io vi sono entrato dentro.
L’eucarestia è la stessa cosa. Mangiarla è come tuffarsi nell’oceano
di Dio. Attraverso questo incontro
è Dio a comprendere me, a contenermi, ad avvolgermi, ed io ho una conoscenza di
Lui più profonda proprio perché ne sono completamente avvolto, contenuto,
abbracciato.
Senza questo tuffo eucaristico dentro la nostra vita di fede noi
rischiamo di rimanere a una distanza pericolosa, mortifera.
Nell’ordine dei pianeti, la terra vive perché si trova a una distanza
giusta dal sole. Troppo vicina essa si brucerebbe e non potrebbe accogliere la
vita, troppo lontana si gelerebbe e allo stesso modo non potrebbe contenere la
vita. La terra, invece, si trova alla giusta distanza, ed ecco quindi che la
vita è possibile. Nell’eucarestia noi abbiamo la giusta distanza attraverso cui
la vita è possibile per ciascuno di noi. Troppo vicini a Dio noi non avremmo
possibilità di essere liberi, perché davanti a un’evidenza così forte il nostro
libero arbitrio rimarrebbe bruciato. Troppo lontani da Dio noi non troveremmo
l’amore necessario per poter fare qualche scelta che conti e rimarremmo così
congelati nell’impotenza, nella disperazione, spettatori di una vita che ci
passa accanto e che non riusciamo a cogliere. Alla giusta distanza invece
abbiamo la libertà necessaria per poter decidere noi, e il calore giusto per
avere la forza di farlo. L’eucarestia è
la giusta distanza che ci rende cristiani. In questo senso è un esercizio
di realtà irrinunciabile.
Ci sono diverse maniere di vivere questo esercizio di realtà. Il più
importante è la celebrazione eucaristica. In essa noi partecipiamo a ciò che
stabilisce e crea questa “giusta distanza”. Ancora una volta è lo Spirito Santo
che rende tutto possibile. Nella messa noi siamo come coinvolti in un vortice
di Grazia che ci aiuta a uscire da noi per donarci a Gesù, e allo stesso tempo
ad entrare dentro di noi per accogliere Lui che si dona. Brevemente vorrei
percorrere le tappe principali:
- La messa inizia nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. La ritualità di questo gesto non può trasformarsi in semplice abitudine.
Dire che iniziamo nel nome della Trinità significa dire che iniziano nel nome
di un Dio che non è solitudine ma comunione di persone che pur rimanendo se
stesse si amano talmente tanto da essere un’unica cosa, senza perdere nulla
della loro diversità. Nella messa accade la medesima cosa: noi entriamo talmente
tanto in comunione con Dio da diventare un’unica cosa con Lui, ma allo stesso
tempo rimaniamo profondamente noi stessi. Dio non uniforma ma valorizza la
nostra diversità, e grazie a Lui questa diversità non è mai un ostacolo
all’incontro con Lui ma una maniera straordinaria di unirci, esattamente come
una serie di note diverse danno vita a una musica meravigliosa. Se quelle note
suonassero tutte lo stesso suono non si avrebbe musica ma solo suono. La musica
è l’armonizzazione di note diverse. Nell’eucarestia la nostra diversità trova
armonia, smette di essere suono e diventa musica.
Il sacerdote che presiede è solo un fratello prestato. Uno che è stato
consacrato affinchè diventi lo strumento efficace perché l’eucarestia si
compia. La sua consacrazione lo rende efficace. Non è semplicemente uno che parla
o compie dei gesti. Lo Spirito Santo rende Lui un mezzo. In lui è il popolo a
parlare, nella sua interezza. Anche nella parte più sperduta nel mondo, se c’è
un uomo che sta soffrendo o sta gioendo, o sta sperando, o sta semplicemente
vivendo, nelle parole del sacerdote anche la sua voce è racchiusa. E allo
stesso tempo attraverso il sacerdote è Cristo che agisce per mezzo della sua
umanità, anche se indegna. Questo è il motivo per cui durante la messa per
diverse volte il sacerdote e il popolo si scambiano questo tipo di dialogo: il Signore sia con voi, e con il tuo spirito…. E’ come se
attraverso questa formula si chiarificasse che tutto quello che egli sta
dicendo lo dice a nome di tutti, e tutto quello che sta rivolgendo al popolo lo
sta dicendo a nome di Cristo. Ancora una volta unità e diversità.
- L’atto penitenziale è il momento in cui siamo alla soglia
dell’eucarestia. Immaginate di stare per entrare in casa di una persona e
venite da una strada fangosa, polverosa, sporca, dissestata. Prima di varcare
quella soglia vi pulite i piedi. L’atto penitenziale è uno scrostarsi di tutto
quel fango che ci portiamo addosso per aver percorso un tratto di strada. Non è
solo apnea e silenzio, è un riconoscere tutto quello che può diventare di
intralcio all’incontro che sta per accadere. A volte ci sono pezzi di fango
così grossi da sembrare macigni e non basta il semplice scrollarsi che facciamo
nell’atto penitenziale. In quel caso abbiamo una vera e propria modalità per
tornare liberi e splendenti come quei bambini che dopo che hanno giocato in un
campo vengono lavati e smacchiati dalle madri. Questo lavoro di pulitura più
approfondito è la confessione. Anche in questo caso dobbiamo domandarci se
prima di attraversare la porta dell’eucarestia ci siamo prepararti bene. Se
basta quell’atto penitenziale o abbiamo bisogno della confessione. Tutto da
vivere però con questa semplicità ed efficacia, senza caricare queste operazioni di igiene interiore di sensi
di colpa inutili. L’acqua della Grazia di Dio è infinita ed è gratis…non
dimentichiamocelo mai.
- Quando è domenica o ci sono giorni di festa la Chiesa ha una
modalità tutta sua di dire la gioia che prova. Questa modalità è l’inno del Gloria.
Noi cantiamo o proclamiamo il Gloria come espressione di gioia, di lode, di
entusiasmo. Esattamente come un bambino canta una canzone alla propria madre o
al proprio padre per dir loro quanto sia felice e quanto li ami. Se riflettiamo
sulle parole che diciamo sono certo che dentro di noi si spalancherebbero feritoie
di commozione: “noi ti lodiamo, di benediciamo,
di adoriamo, ti glorifichiamo, di rendiamo Grazie per la tua gloria immensa….”
Ogni parola è un voler esprimere gioia, gratitudine e amore.
- Dopo l’atto penitenziale e il Gloria c’è la cosiddetta preghiera di colletta. Il sacerdote la
introduce dicendo “preghiamo”. Si chiama preghiera di colletta perché è una
preghiera che raccoglie tutte le intenzioni di preghiera delle persone che
partecipano all’eucarestia. Una sorta di raccolta silenziosa e interiore di
motivi, richieste, gratitudini che le persone si portano nel cuore. Ciascuno in
questo particolare momento stabilisce la priorità che si porta nel cuore.
- Con la preghiera di colletta si concludono i riti iniziali e inizia
la Liturgia della Parola. Essa è composta di due letture un salmo e un passo
del Vangelo. Solitamente la prima lettura è dell’Antico testamento, la seconda
del Nuovo, ma nei giorni feriali non è presente la seconda lettura e si legge
solo una lettura o dell’Antico o del Nuovo Testamento e il Salmo responsoriale.
Poi con il canto dell’alleluya ci si mette tutti in piedi per ascoltare il
passo del Vangelo. Lo stare in piedi è la posizione dei risorti. Quando noi
siamo in piedi non vogliamo dire solo rispetto, ma vogliamo assumere
fisicamente la posizione di chi ha vinto, di chi è risorto. Tutti noi cristiani
siamo “più che vincitori” in virtù di
colui che è morto ed è risorto per noi”. Molti pensano che lo stare in
piedi, seduti o in ginocchio sia solo un fatto di etichetta. Nella liturgia lo
stare in piedi, seduti o in ginocchio è un fatto teologico non semplicemente
funzionale.
La liturgia della Parola è importantissima e non può essere ridotta
alla semplice omelia del sacerdote. In essa il sacerdote che presiede spezza la
Parola affinchè sia più facile farla arrivare nella nostra vita. Riuscire così
a declinarla, a metterla in pratica, a raddrizzarci, a farci crescere, a
educarci, a consolarci, a guarirci, a rimproverarci, ad accarezzarci. La Parola
di Dio è un amore fatto Parola. In essa è Dio stesso che amandoci infinitamente
ci insegna ad essere sempre più umani, sempre più noi stessi, sempre più quei
capolavori che dovremmo essere. Mai ridurre la Parola a semplice moralismo. Mai
pensare che essa faccia dei discorsi generali a cui al massimo noi dobbiamo
annuire e dire “che è bello”. Quella Parola, attraverso l’opera dello Spirito
Santo, è Parola rivolta a me. È Parola che parla a ciascuno di noi nel
dettaglio e proprio per questo ciascuno di noi deve spalancare orecchie e cuore
e lasciarsi formare da Essa. Un cristiano che non vive così il rapporto con la
Parola è come uno che “costruisce la casa
sulla sabbia” dice Gesù. Non ha fondamenta e al primo problema gli crollano
tutti i ragionamenti addosso lasciandolo da solo e senza prospettiva. Chi
ascolta e si sforza di mettere in pratica è simile a uno che “ha costruito la casa sulla roccia”.
Quando arrivano le intemperie della vita quella casa rimane salda perché è
fondata su qualcosa di sicuro, di collaudato, di più stabile dei nostri
semplici “fai da te”. Cosa serve per poter ascoltare e vivere la Parola? Niente
di più che orecchie spalancate e umiltà nell’imparare piano piano, un passo
alla volta.
- Dopo la liturgia della Parola tutti si mettono in piedi per recitare
il Credo. In quelle parole è riassunto tutti ciò che in sostanza crediamo.
Molto spesso non riflettiamo o non abbiamo la consapevolezza profonda di ciò
che diciamo nel Credo, ma in esso c’è tutto quello che ci rende noi, che ci
rende cristiani e cattolici. Ogni vera catechesi dovrebbe avere a cuore lo
spiegare parola per parola il Credo. Ciò fornirebbe a ciascuno di noi “le
ragioni della nostra speranza”, o per lo meno un po’ di chiarezza in più per
essere sempre più credenti più che creduloni.
- Segue la Preghiera dei Fedeli,
che come dice la parola stessa è preghiera che raccoglie le intenzioni dei
fedeli della comunità, dei presenti, ma anche le ansie e le richieste del
mondo, della società, degli altri, dei lontani e dei vicini. In essa si impara
ad essere appunto “cattolici”, perché la parola “cattolico” significa
“universale”. Un cristiano che non ha un cuore universale, un cuore aperto a
tutti, anche ai lontani, non è un cristiano cattolico.
- Comincia poi quella che si chiama Liturgia eucaristica. Dalle parole si passa ai fatti, anzi dovremmo
dire che dalla Parola si passa al Fatto dell’Eucarestia.
Il sacerdote presenta a Dio il pane e il vino. In essa è rappresentato
tutto il bagaglio della nostra umanità, ma non un’umanità qualunque, ma
l’umanità di quel momento della nostra vita. Gioia, dolori, fatiche, ansie,
sogni, richieste, errori, sforzi sono tutti presenti in quel pane e in quel
vino. Tutto quello che spiritualmente mettiamo sull’altare in quel momento
viene presentato a Dio affinché diventi Cristo. La consapevolezza di questo,
dovrebbe spalancare le nostre teste e i nostri cuori. In pratica tutto quello
che offriamo al Signore ci verrà ridato al momento della Comunione ma non più
come ciò che era prima, ma come Cristo. Così quel dolore è diventato Cristo,
quella gioia è diventata Cristo, quella richiesta è diventata Cristo, quella
speranza è diventata Cristo, cioè ognuna di queste cose è stata riempita di Senso,
e quando una cosa è piena di Senso, cioè è piena di Cristo, allora vale sempre
la pena, fosse anche la più dolorosa e la più faticosa. Noi svuotiamo la nostra
umanità su quell’altare e Gesù la prende con se, e Lui da parte sua svuota
tutta la sua divinità e ce la dona. Uno scambio folle che dovrebbe lasciarci
senza parole: noi gli diamo gli stracci della nostra umanità e lui ci dà i
vestiti firmati della sua divinità. Perché questo? Perché ci ama. E l’amore non
è mai misura è sempre fuori misura. In questo senso diventa un’educazione per
ciascuno di noi, perché essendo stati amati così dobbiamo imparare ad amarci
così gli uni gli altri.
Dopo la presentazione delle offerte il sacerdote si rivolge a tutti
dicendo: Pregate fratelli e sorelle,
perché questo nostro sacrificio sia gradito a Dio Padre Onnipotente; e il
popolo risponde Il Signore riceva dalle
tue mani questo Sacrificio, a lode e gloria del Suo Nome, per il bene nostro e
di tutta la Sua Santa Chiesa. Finito questo breve dialogo tutti si mettono in piedi e il
sacerdote pronuncia la preghiera sulle offerte, e lo fa a nome di tutti, come
se tutti stessero pronunciando quelle parole. Il popolo per confermarle
risponde AMEN.
Inizia la preghiera del Prefazio, anch’essa è introdotta da un breve
dialogo tra il sacerdote e i fedeli:
Il Signore sia con voi… E
con il tuo spirito
In alto i nostri cuori…..Sono rivolti al Signore
Rendiamo grazie al Signore nostro Dio…e cosa buona e giusta.
Poi c’è una preghiera
rivolta direttamente al Padre che a seconda delle circostanze esprime tutta la
nostra fede e tutta la nostra partecipazione a ciò che si sta celebrando. Al
termine, “insieme agli angeli e ai santi” si canta o proclama il Santo.
Vorrei fermarmi qualche istante per dire che ad un passo dalla
preghiera di consacrazione, cioè dalla preghiera attraverso cui Gesù si rende
realmente presente nel pane e nel vino, con il suo Corpo e il Suo Sangue, non
siamo presenti solo noi. Misteriosamente è cose se il cielo si spalancasse, e
fiumi di angeli, di santi, assieme la Vergine Maria e anche i nostri fratelli
defunti in cammino verso il cielo sono presenti con noi davanti all’altare in
attesa “che Egli venga”.
- Con la preghiera di consacrazione, l’invocazione dello Spirito Santo
e l’imposizione delle mani del sacerdote, Gesù diventa presente nel pane e nel
vino. La maniera che noi abbiamo di dire che Egli è lì, è il metterci in
ginocchio. Non è un gesto servile. È un gesto di adorazione, come quando
davanti a qualcosa di così bello non puoi fare a meno di inginocchiarti per la
gratitudine, l’emozione, la commozione, la gioia, l’amore. Siamo in ginocchio e
lo Spirito Santo ci riporta interiormente nel cenacolo mentre Gesù pronuncia le
parole “prendete e mangiatene tutti… prendete e bevetene tutti…” e siamo lì
sotto la croce con Maria e il discepolo che Gesù amava. Ma siamo anche lì nel
sepolcro vuoto assieme alle donne, a Maria Maddalena a dire “è risorto”: Annunziamo la tua morte Signore, proclamiamo
la tua resurrezione….
Rimettendoci in piedi assumiamo appunto la posizione dei risorti. È
attraverso la Sua resurrezione che noi possiamo permetterci di stare in piedi
davanti alla vita, e anche davanti alla morte.
Il sacerdote continua rivolgendosi al Padre e per una seconda volta
invoca lo Spirito Santo affinchè questa volta “ci riunisca in un solo corpo”.
L’unità è ciò che ci rende credibili. Il diavolo è divisione come dice il suo
stesso nome. I cristiani cercano unità interiore, con Dio e con gli altri. Gesù
disse ai suoi, e quindi anche a noi: “vi
riconosceranno da come vi amerete”. Nell’eucarestia preghiamo perché le
distanze siano colmate e le ferite delle divisioni guarite.
Concludendo questa lunga preghiera il sacerdote proclama la cosiddetta
dossologia: per Cristo, con Cristo e in
Cristo… Questa triplice formula ricorda a ciascuno di noi le tre modalità
che abbiamo per vivere continuamente un rapporto con Lui, per vivere cioè una
vita eucaristica.
Ci sono momenti in cui le cose che facciamo possiamo farle per Lui, altri momenti in cui abbiamo
bisogno di farle con Lui, altri
momenti in cui dobbiamo farle in Lui,
come bimbo in braccio a Sua madre. Non c’è frammento della nostra vita che non
si possa racchiudere in questa triplice formula, in questo triplice segreto per
rimanere in comunione profonda con Lui.
- Il frutto più importante dell’azione dello Spirito Santo in noi è il
fatto che ci fa vivere un rapporto non con un Dio lontano, ma con un Dio che
sappiamo essere nostro Padre. Per questo la preghiera che Gesù ci ha insegnato
è la preghiera del Padre nostro che
si recita tutti insieme come una preghiera che ci rende figli di Dio e fratelli
tra di noi.
- Al termine di questa preghiera si giunge alla richiesta esplicita
della pace e dell’unità ed è consentito anche rendere visibile questa urgenza
di pace e unità nella nostra vita con lo scambio di pace, che è appunto un segno,
il segno di un impegno che coinvolge tutta la nostra vita. Chi non ricerca la
pace e l’unità non può nemmeno partecipare all’eucarestia poiché lontano dalle
logiche di Dio, lontano dalla comunione con Lui. “Come puoi dire di amare Dio che non vedi se non ami tuo fratello che
vedi” scriverà San Giacomo nella sua lettera…. La vita è un continuo
conformarci all’eucarestia che celebriamo… la nostra santità è renderci simili
al mistero dell’eucarestia. Mistero di unità, di amore, di dono di sé, di dare
la vita, di morire e di risorgere….
- Con la recita dell’Agnello di
Dio e la professione della nostra indegnità davanti a Gesù presente davanti
a noi, siamo finalmente arrivati al momento della comunione.
- Comunicarci è tuffarci in Gesù con tutto ciò che siamo e che
viviamo. Ma è anche un tuffarci di Gesù con tutto ciò che è in ciascuno di noi.
E’ l’intimità più intima che possiamo avere con Dio in questo viaggio della
vita. Lui in noi e noi in Lui. “Sto alla
porta e busso. Se qualcuno mi apre entreremo da lui e prenderemo dimora presso
di Lui.” In pratica Gesù assume la nostra umanità e noi veniamo
divinizzati, cioè impastati di Dio, di eternità, di verità, di bellezza, di
amore. Quel desiderio di infinito che ci portiamo nel cuore trova finalmente
compimento. Noi che siamo essere finiti, attraverso Gesù ci riappropriamo della
nostra natura infinita che con il cuore cerchiamo ogni istante della nostra
vita tutte le volte che cerchiamo di essere felici. “E’ Gesù che cercate quando
cercate la felicità” disse Giovanni Paolo II. Ed è vero. E nell’eucarestia lo
troviamo come anticipazione del cielo. E questo cielo in noi poi si riversa
sulla terra attraverso di noi.
- Per questo l’eucarestia si conclude con la parola “Andate in pace”.
Perché non ha senso un’eucarestia che ci fa restare. L’eucarestia è un moto
centrifugo della Grazia di Dio, cioè una forza che si propaga che ci spinge
verso l’esterno e ci salva dalla chiusura, dal chiuderci, dal trasformare il
rapporto con Lui in ghetto. L’eucarestia ci rende, per sua stessa natura,
missionari, cioè mandati. Attraverso di noi Dio propaga la Sua opera di
salvezza, cioè continua a salvare. E la modalità che Egli ha di salvare è
l’amore. E questo amore diventa poi giustizia sociale, impegno, cambiamento,
presa a cuore dei poveri, passione, dono.
L’eucarestia è esercizio di realtà perché ci introduce nella realtà ma
passando attraverso l’umanità di Gesù. La nostra maniera di stare al mondo è la
maniera di Cristo. Per me vivere è Cristo
scrive San Paolo. E un cristiano che non impara questa “maniera” non è
cristiano ma è uno che usa la parola Gesù per dare un nome alle proprie paure,
alle proprie insicurezze e alle proprie aspettative ma non ha mai conosciuto
Dio, ma solo il dio che si è inventato per poter sopravvivere quando di notte a
luce spenta la vita sembra insopportabile. Il nostro Dio è vero perché è vivo,
ed è qui. “Egli è qui” scriveva il poeta Peguy, e noi sappiamo che un “qui” che
Egli ha scelto è l’eucarestia. Poi c’è il “qui” dei poveri, del prossimo, persino
di noi stessi, ma tutti questi “qui” sono vivibili solo se l’eucarestia
funziona dentro la nostra vita, solo se l’eucarestia ci ha trasformati in
eucaristici: “nessuno ha un amore più
grande di questo: dare la vita per i propri amici”.
Che dire...già il nome del blog (di rimando alla fraternità di Carlo Caretto e ai Piccoli Fratelli del Vangelo) dice tutto. E Tu (se posso permettere di dare del tu) dici bene e diffondi un sano messaggio evangelico. Mi piace molto quanto scrivi e come lo scrivi, preparazione si...ma anche impegno e fervore dello e nello Spirito, che altrimenti tutto è vano... Eucarestia...MIO DIO E MIO TUTTO...DIO VI BENEDICA
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