mercoledì 26 settembre 2012

L’Eucarestia. (esercizio di realtà/2)





Come cristiani non abbiamo niente di più oggettivo dell’eucarestia. Esattamente come quando si ama qualcuno: ci sono tante cose che ci ricordano questa persona amata, tutto diventa un rimando a lei, ma non c’è niente di più oggettivo di quella persona stessa.
Tra una foto della persona amata e la persona amata noi scegliamo ovviamente la persona amata.
Tra i modi di pensare della persona amata e la persona amata noi preferiamo la persona amata.
Tra un’idea che siamo fatti della persona amata e la persona amata noi preferiamo la persona amata.
Perché insisto molto su questa messa in paragone? Perché nell’eucarestia noi abbiamo realmente ciò che diciamo di amare e a cui crediamo con la nostra fede. Guai togliere l’eucarestia dalla nostra vita di fede! Ciò significherebbe ridurre il cristianesimo a una bella filosofia di vita o a una morale buona. Ma ciò che rende il cristianesimo qualcosa che valga la pena è la Persona di Gesù.
Vorrei che ci rendessimo conto che solo da questo rapporto “personale” con Lui viene fuori la vita da credente. Senza questo “rapporto personale” noi siamo solo più o meno dei seguaci di un’idea, indottrinati bonariamente a vivere onestamente la vita. Ma il cristianesimo è molto di più di una semplice vita vissuta alla buona. Il cristianesimo è la conseguenza di un incontro che ti cambia la vita, perché è l’incontro con una “persona” che non ti lascia più uguale. Gesù è per noi il fulcro più vero e più profondo della nostra fede. Il resto viene come conseguenza e non come presupposto. In questo senso essa diventa una vita buona e non alla buona…

Una storia d’amore non è vera se si consuma solo nella testa dell’amante. Eppure molto spesso noi viviamo di vite inventate, pianificate e sceneggiate dalle nostre teste ma che non hanno nessun legame con la realtà. Una storia d’amore è sempre un susseguirsi di fatti che nascono da un incontro ma che poi assumono la forma di una storia vera, perché è la storia di due persone che con la propria libertà decidono qualcosa, e decidono di viverlo insieme. Da questo “insieme” scaturisce una vita diversa da com’era prima di quell’incontro. Analogamente è nella vita di fede. Credere non significa sapere tante cose della vita, del mondo, dell’universo, del dolore, della speranza, dell’amore, ma è vivere “insieme” a Lui, strettamente intrecciati alla Sua Persona, rigorosamente con i piedi per terra e gli occhi spalancati. Tutto quello che cominciamo poi a sapere è frutto di questa esperienza vissuta “insieme” a Lui.  Il “sapere” teologico non è squisitamente intellettuale, è frutto di un’esperienza che ad un certo punto riusciamo anche a raccontare. Questo perché le cose che viviamo passano attraverso il vaglio del cuore, poi si spingono sino alla testa e in fine diventano parola da dire.
Dio attraverso Gesù si è inventato una modalità tutta Sua e tutta originale di rimanere con noi. Questa modalità è l’EUCARESTIA. “io sarò con voi sempre fino alla fine del mondo”, aveva promesso Gesù ai Suoi discepoli. Ed ecco mantenuta la promessa. In quel pane e in quel vino noi crediamo che non ci sia solo più grano e uva, ma crediamo che misteriosamente in essi è nascosta la presenza reale di Gesù. Come si fa a comprendere una cosa simile? Comprendere non si può, perché la parola comprendere è come un abbraccio che vuole contenere qualcosa, ma ci sono cose che non riusciamo a contenere con gli abbracci della nostra testa. Esattamente come quando ci troviamo davanti al mare e con il nostro sguardo vogliamo comprenderlo tutto; ad un certo punto dobbiamo arrenderci al fatto che la nostra capacità di vedere è limitata e noi vediamo il mare nella misura del nostro campo visivo senza poter dire di riuscire a vederlo del tutto. Sarebbe sbagliato dire che il mare non esiste semplicemente perché io non riesco a contenerlo nel mio sguardo. Noi accettiamo che esso esista anche se non riusciamo a “comprenderlo” del tutto con i nostri occhi, con le nostre capacità. Nell’eucarestia è più o meno la stessa cosa. Noi riusciamo a vedere Gesù nella misura del pane e del vino, ma l’abisso e l’infinito orizzonte che quel pane e quel vino rappresentano rimangono qualcosa che non riusciamo a comprendere del tutto con le nostre sole forze. Cosa ha fatto Gesù? Ci ha insegnato che ciò che non riusciamo a contenere può contenerci. Cioè ci ha insegnato a fare una cosa molto semplice: davanti all’oceano che non riusciamo a contenere con il nostro sguardo e le nostre capacità non dobbiamo rimanere delusi o rassegnati. Dobbiamo fare qualcosa di audace, di creativo, di diverso, di più profondo: dobbiamo tuffarci dentro. Da quell’istante è l’oceano ad aver compreso me perché io vi sono entrato dentro.
L’eucarestia è la stessa cosa. Mangiarla è come tuffarsi nell’oceano di Dio.  Attraverso questo incontro è Dio a comprendere me, a contenermi, ad avvolgermi, ed io ho una conoscenza di Lui più profonda proprio perché ne sono completamente avvolto, contenuto, abbracciato.
Senza questo tuffo eucaristico dentro la nostra vita di fede noi rischiamo di rimanere a una distanza pericolosa, mortifera.
Nell’ordine dei pianeti, la terra vive perché si trova a una distanza giusta dal sole. Troppo vicina essa si brucerebbe e non potrebbe accogliere la vita, troppo lontana si gelerebbe e allo stesso modo non potrebbe contenere la vita. La terra, invece, si trova alla giusta distanza, ed ecco quindi che la vita è possibile. Nell’eucarestia noi abbiamo la giusta distanza attraverso cui la vita è possibile per ciascuno di noi. Troppo vicini a Dio noi non avremmo possibilità di essere liberi, perché davanti a un’evidenza così forte il nostro libero arbitrio rimarrebbe bruciato. Troppo lontani da Dio noi non troveremmo l’amore necessario per poter fare qualche scelta che conti e rimarremmo così congelati nell’impotenza, nella disperazione, spettatori di una vita che ci passa accanto e che non riusciamo a cogliere. Alla giusta distanza invece abbiamo la libertà necessaria per poter decidere noi, e il calore giusto per avere la forza di farlo. L’eucarestia è la giusta distanza che ci rende cristiani. In questo senso è un esercizio di realtà irrinunciabile.

Ci sono diverse maniere di vivere questo esercizio di realtà. Il più importante è la celebrazione eucaristica. In essa noi partecipiamo a ciò che stabilisce e crea questa “giusta distanza”. Ancora una volta è lo Spirito Santo che rende tutto possibile. Nella messa noi siamo come coinvolti in un vortice di Grazia che ci aiuta a uscire da noi per donarci a Gesù, e allo stesso tempo ad entrare dentro di noi per accogliere Lui che si dona. Brevemente vorrei percorrere le tappe principali:

- La messa inizia nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La ritualità di questo gesto non può trasformarsi in semplice abitudine. Dire che iniziamo nel nome della Trinità significa dire che iniziano nel nome di un Dio che non è solitudine ma comunione di persone che pur rimanendo se stesse si amano talmente tanto da essere un’unica cosa, senza perdere nulla della loro diversità. Nella messa accade la medesima cosa: noi entriamo talmente tanto in comunione con Dio da diventare un’unica cosa con Lui, ma allo stesso tempo rimaniamo profondamente noi stessi. Dio non uniforma ma valorizza la nostra diversità, e grazie a Lui questa diversità non è mai un ostacolo all’incontro con Lui ma una maniera straordinaria di unirci, esattamente come una serie di note diverse danno vita a una musica meravigliosa. Se quelle note suonassero tutte lo stesso suono non si avrebbe musica ma solo suono. La musica è l’armonizzazione di note diverse. Nell’eucarestia la nostra diversità trova armonia, smette di essere suono e diventa musica.
Il sacerdote che presiede è solo un fratello prestato. Uno che è stato consacrato affinchè diventi lo strumento efficace perché l’eucarestia si compia. La sua consacrazione lo rende efficace. Non è semplicemente uno che parla o compie dei gesti. Lo Spirito Santo rende Lui un mezzo. In lui è il popolo a parlare, nella sua interezza. Anche nella parte più sperduta nel mondo, se c’è un uomo che sta soffrendo o sta gioendo, o sta sperando, o sta semplicemente vivendo, nelle parole del sacerdote anche la sua voce è racchiusa. E allo stesso tempo attraverso il sacerdote è Cristo che agisce per mezzo della sua umanità, anche se indegna. Questo è il motivo per cui durante la messa per diverse volte il sacerdote e il popolo si scambiano questo tipo di dialogo: il Signore sia con voi, e con il tuo spirito…. E’ come se attraverso questa formula si chiarificasse che tutto quello che egli sta dicendo lo dice a nome di tutti, e tutto quello che sta rivolgendo al popolo lo sta dicendo a nome di Cristo. Ancora una volta unità e diversità.

- L’atto penitenziale è il momento in cui siamo alla soglia dell’eucarestia. Immaginate di stare per entrare in casa di una persona e venite da una strada fangosa, polverosa, sporca, dissestata. Prima di varcare quella soglia vi pulite i piedi. L’atto penitenziale è uno scrostarsi di tutto quel fango che ci portiamo addosso per aver percorso un tratto di strada. Non è solo apnea e silenzio, è un riconoscere tutto quello che può diventare di intralcio all’incontro che sta per accadere. A volte ci sono pezzi di fango così grossi da sembrare macigni e non basta il semplice scrollarsi che facciamo nell’atto penitenziale. In quel caso abbiamo una vera e propria modalità per tornare liberi e splendenti come quei bambini che dopo che hanno giocato in un campo vengono lavati e smacchiati dalle madri. Questo lavoro di pulitura più approfondito è la confessione. Anche in questo caso dobbiamo domandarci se prima di attraversare la porta dell’eucarestia ci siamo prepararti bene. Se basta quell’atto penitenziale o abbiamo bisogno della confessione. Tutto da vivere però con questa semplicità ed efficacia,  senza caricare queste operazioni di igiene interiore di sensi di colpa inutili. L’acqua della Grazia di Dio è infinita ed è gratis…non dimentichiamocelo mai.

- Quando è domenica o ci sono giorni di festa la Chiesa ha una modalità tutta sua di dire la gioia che prova. Questa modalità è l’inno del Gloria. Noi cantiamo o proclamiamo il Gloria come espressione di gioia, di lode, di entusiasmo. Esattamente come un bambino canta una canzone alla propria madre o al proprio padre per dir loro quanto sia felice e quanto li ami. Se riflettiamo sulle parole che diciamo sono certo che dentro di noi si spalancherebbero feritoie di commozione: “noi ti lodiamo, di benediciamo, di adoriamo, ti glorifichiamo, di rendiamo Grazie per la tua gloria immensa….” Ogni parola è un voler esprimere gioia, gratitudine e amore.

- Dopo l’atto penitenziale e il Gloria c’è la cosiddetta preghiera di colletta. Il sacerdote la introduce dicendo “preghiamo”. Si chiama preghiera di colletta perché è una preghiera che raccoglie tutte le intenzioni di preghiera delle persone che partecipano all’eucarestia. Una sorta di raccolta silenziosa e interiore di motivi, richieste, gratitudini che le persone si portano nel cuore. Ciascuno in questo particolare momento stabilisce la priorità che si porta nel cuore.

- Con la preghiera di colletta si concludono i riti iniziali e inizia la Liturgia della Parola. Essa è composta di due letture un salmo e un passo del Vangelo. Solitamente la prima lettura è dell’Antico testamento, la seconda del Nuovo, ma nei giorni feriali non è presente la seconda lettura e si legge solo una lettura o dell’Antico o del Nuovo Testamento e il Salmo responsoriale. Poi con il canto dell’alleluya ci si mette tutti in piedi per ascoltare il passo del Vangelo. Lo stare in piedi è la posizione dei risorti. Quando noi siamo in piedi non vogliamo dire solo rispetto, ma vogliamo assumere fisicamente la posizione di chi ha vinto, di chi è risorto. Tutti noi cristiani siamo “più che vincitori” in virtù di colui che è morto ed è risorto per noi”. Molti pensano che lo stare in piedi, seduti o in ginocchio sia solo un fatto di etichetta. Nella liturgia lo stare in piedi, seduti o in ginocchio è un fatto teologico non semplicemente funzionale.
La liturgia della Parola è importantissima e non può essere ridotta alla semplice omelia del sacerdote. In essa il sacerdote che presiede spezza la Parola affinchè sia più facile farla arrivare nella nostra vita. Riuscire così a declinarla, a metterla in pratica, a raddrizzarci, a farci crescere, a educarci, a consolarci, a guarirci, a rimproverarci, ad accarezzarci. La Parola di Dio è un amore fatto Parola. In essa è Dio stesso che amandoci infinitamente ci insegna ad essere sempre più umani, sempre più noi stessi, sempre più quei capolavori che dovremmo essere. Mai ridurre la Parola a semplice moralismo. Mai pensare che essa faccia dei discorsi generali a cui al massimo noi dobbiamo annuire e dire “che è bello”. Quella Parola, attraverso l’opera dello Spirito Santo, è Parola rivolta a me. È Parola che parla a ciascuno di noi nel dettaglio e proprio per questo ciascuno di noi deve spalancare orecchie e cuore e lasciarsi formare da Essa. Un cristiano che non vive così il rapporto con la Parola è come uno che “costruisce la casa sulla sabbia” dice Gesù. Non ha fondamenta e al primo problema gli crollano tutti i ragionamenti addosso lasciandolo da solo e senza prospettiva. Chi ascolta e si sforza di mettere in pratica è simile a uno che “ha costruito la casa sulla roccia”. Quando arrivano le intemperie della vita quella casa rimane salda perché è fondata su qualcosa di sicuro, di collaudato, di più stabile dei nostri semplici “fai da te”. Cosa serve per poter ascoltare e vivere la Parola? Niente di più che orecchie spalancate e umiltà nell’imparare piano piano, un passo alla volta. 

- Dopo la liturgia della Parola tutti si mettono in piedi per recitare il Credo. In quelle parole è riassunto tutti ciò che in sostanza crediamo. Molto spesso non riflettiamo o non abbiamo la consapevolezza profonda di ciò che diciamo nel Credo, ma in esso c’è tutto quello che ci rende noi, che ci rende cristiani e cattolici. Ogni vera catechesi dovrebbe avere a cuore lo spiegare parola per parola il Credo. Ciò fornirebbe a ciascuno di noi “le ragioni della nostra speranza”, o per lo meno un po’ di chiarezza in più per essere sempre più credenti più che creduloni.

- Segue la Preghiera dei Fedeli, che come dice la parola stessa è preghiera che raccoglie le intenzioni dei fedeli della comunità, dei presenti, ma anche le ansie e le richieste del mondo, della società, degli altri, dei lontani e dei vicini. In essa si impara ad essere appunto “cattolici”, perché la parola “cattolico” significa “universale”. Un cristiano che non ha un cuore universale, un cuore aperto a tutti, anche ai lontani, non è un cristiano cattolico.

- Comincia poi quella che si chiama Liturgia eucaristica. Dalle parole si passa ai fatti, anzi dovremmo dire che dalla Parola si passa al Fatto dell’Eucarestia.
Il sacerdote presenta a Dio il pane e il vino. In essa è rappresentato tutto il bagaglio della nostra umanità, ma non un’umanità qualunque, ma l’umanità di quel momento della nostra vita. Gioia, dolori, fatiche, ansie, sogni, richieste, errori, sforzi sono tutti presenti in quel pane e in quel vino. Tutto quello che spiritualmente mettiamo sull’altare in quel momento viene presentato a Dio affinché diventi Cristo. La consapevolezza di questo, dovrebbe spalancare le nostre teste e i nostri cuori. In pratica tutto quello che offriamo al Signore ci verrà ridato al momento della Comunione ma non più come ciò che era prima, ma come Cristo. Così quel dolore è diventato Cristo, quella gioia è diventata Cristo, quella richiesta è diventata Cristo, quella speranza è diventata Cristo, cioè ognuna di queste cose è stata riempita di Senso, e quando una cosa è piena di Senso, cioè è piena di Cristo, allora vale sempre la pena, fosse anche la più dolorosa e la più faticosa. Noi svuotiamo la nostra umanità su quell’altare e Gesù la prende con se, e Lui da parte sua svuota tutta la sua divinità e ce la dona. Uno scambio folle che dovrebbe lasciarci senza parole: noi gli diamo gli stracci della nostra umanità e lui ci dà i vestiti firmati della sua divinità. Perché questo? Perché ci ama. E l’amore non è mai misura è sempre fuori misura. In questo senso diventa un’educazione per ciascuno di noi, perché essendo stati amati così dobbiamo imparare ad amarci così gli uni gli altri.
Dopo la presentazione delle offerte il sacerdote si rivolge a tutti dicendo: Pregate fratelli e sorelle, perché questo nostro sacrificio sia gradito a Dio Padre Onnipotente; e il popolo risponde Il Signore riceva dalle tue mani questo Sacrificio, a lode e gloria del Suo Nome, per il bene nostro e di tutta la Sua Santa Chiesa.  Finito questo breve dialogo tutti si mettono in piedi e il sacerdote pronuncia la preghiera sulle offerte, e lo fa a nome di tutti, come se tutti stessero pronunciando quelle parole. Il popolo per confermarle risponde AMEN.
Inizia la preghiera del Prefazio, anch’essa è introdotta da un breve dialogo tra il sacerdote e i fedeli:

Il Signore sia con voi…  E con il tuo spirito

In alto i nostri cuori…..Sono rivolti al Signore

Rendiamo grazie al Signore nostro Dio…e cosa buona e giusta.

Poi c’è una  preghiera rivolta direttamente al Padre che a seconda delle circostanze esprime tutta la nostra fede e tutta la nostra partecipazione a ciò che si sta celebrando. Al termine, “insieme agli angeli e ai santi” si canta o proclama il Santo.
Vorrei fermarmi qualche istante per dire che ad un passo dalla preghiera di consacrazione, cioè dalla preghiera attraverso cui Gesù si rende realmente presente nel pane e nel vino, con il suo Corpo e il Suo Sangue, non siamo presenti solo noi. Misteriosamente è cose se il cielo si spalancasse, e fiumi di angeli, di santi, assieme la Vergine Maria e anche i nostri fratelli defunti in cammino verso il cielo sono presenti con noi davanti all’altare in attesa “che Egli venga”.

- Con la preghiera di consacrazione, l’invocazione dello Spirito Santo e l’imposizione delle mani del sacerdote, Gesù diventa presente nel pane e nel vino. La maniera che noi abbiamo di dire che Egli è lì, è il metterci in ginocchio. Non è un gesto servile. È un gesto di adorazione, come quando davanti a qualcosa di così bello non puoi fare a meno di inginocchiarti per la gratitudine, l’emozione, la commozione, la gioia, l’amore. Siamo in ginocchio e lo Spirito Santo ci riporta interiormente nel cenacolo mentre Gesù pronuncia le parole “prendete e mangiatene tutti… prendete e bevetene tutti…” e siamo lì sotto la croce con Maria e il discepolo che Gesù amava. Ma siamo anche lì nel sepolcro vuoto assieme alle donne, a Maria Maddalena a dire “è risorto”: Annunziamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione….  Rimettendoci in piedi assumiamo appunto la posizione dei risorti. È attraverso la Sua resurrezione che noi possiamo permetterci di stare in piedi davanti alla vita, e anche davanti alla morte.
Il sacerdote continua rivolgendosi al Padre e per una seconda volta invoca lo Spirito Santo affinchè questa volta “ci riunisca in un solo corpo”. L’unità è ciò che ci rende credibili. Il diavolo è divisione come dice il suo stesso nome. I cristiani cercano unità interiore, con Dio e con gli altri. Gesù disse ai suoi, e quindi anche a noi: “vi riconosceranno da come vi amerete”. Nell’eucarestia preghiamo perché le distanze siano colmate e le ferite delle divisioni guarite.
Concludendo questa lunga preghiera il sacerdote proclama la cosiddetta dossologia: per Cristo, con Cristo e in Cristo… Questa triplice formula ricorda a ciascuno di noi le tre modalità che abbiamo per vivere continuamente un rapporto con Lui, per vivere cioè una vita eucaristica.
Ci sono momenti in cui le cose che facciamo possiamo farle per Lui, altri momenti in cui abbiamo bisogno di farle con Lui, altri momenti in cui dobbiamo farle in Lui, come bimbo in braccio a Sua madre. Non c’è frammento della nostra vita che non si possa racchiudere in questa triplice formula, in questo triplice segreto per rimanere in comunione profonda con Lui.

- Il frutto più importante dell’azione dello Spirito Santo in noi è il fatto che ci fa vivere un rapporto non con un Dio lontano, ma con un Dio che sappiamo essere nostro Padre. Per questo la preghiera che Gesù ci ha insegnato è la preghiera del Padre nostro che si recita tutti insieme come una preghiera che ci rende figli di Dio e fratelli tra di noi.
- Al termine di questa preghiera si giunge alla richiesta esplicita della pace e dell’unità ed è consentito anche rendere visibile questa urgenza di pace e unità nella nostra vita con lo scambio di pace, che è appunto un segno, il segno di un impegno che coinvolge tutta la nostra vita. Chi non ricerca la pace e l’unità non può nemmeno partecipare all’eucarestia poiché lontano dalle logiche di Dio, lontano dalla comunione con Lui. “Come puoi dire di amare Dio che non vedi se non ami tuo fratello che vedi” scriverà San Giacomo nella sua lettera…. La vita è un continuo conformarci all’eucarestia che celebriamo… la nostra santità è renderci simili al mistero dell’eucarestia. Mistero di unità, di amore, di dono di sé, di dare la vita, di morire e di risorgere….

- Con la recita dell’Agnello di Dio e la professione della nostra indegnità davanti a Gesù presente davanti a noi, siamo finalmente arrivati al momento della comunione.

- Comunicarci è tuffarci in Gesù con tutto ciò che siamo e che viviamo. Ma è anche un tuffarci di Gesù con tutto ciò che è in ciascuno di noi. E’ l’intimità più intima che possiamo avere con Dio in questo viaggio della vita. Lui in noi e noi in Lui. “Sto alla porta e busso. Se qualcuno mi apre entreremo da lui e prenderemo dimora presso di Lui.” In pratica Gesù assume la nostra umanità e noi veniamo divinizzati, cioè impastati di Dio, di eternità, di verità, di bellezza, di amore. Quel desiderio di infinito che ci portiamo nel cuore trova finalmente compimento. Noi che siamo essere finiti, attraverso Gesù ci riappropriamo della nostra natura infinita che con il cuore cerchiamo ogni istante della nostra vita tutte le volte che cerchiamo di essere felici. “E’ Gesù che cercate quando cercate la felicità” disse Giovanni Paolo II. Ed è vero. E nell’eucarestia lo troviamo come anticipazione del cielo. E questo cielo in noi poi si riversa sulla terra attraverso di noi.

- Per questo l’eucarestia si conclude con la parola “Andate in pace”. Perché non ha senso un’eucarestia che ci fa restare. L’eucarestia è un moto centrifugo della Grazia di Dio, cioè una forza che si propaga che ci spinge verso l’esterno e ci salva dalla chiusura, dal chiuderci, dal trasformare il rapporto con Lui in ghetto. L’eucarestia ci rende, per sua stessa natura, missionari, cioè mandati. Attraverso di noi Dio propaga la Sua opera di salvezza, cioè continua a salvare. E la modalità che Egli ha di salvare è l’amore. E questo amore diventa poi giustizia sociale, impegno, cambiamento, presa a cuore dei poveri, passione, dono.

L’eucarestia è esercizio di realtà perché ci introduce nella realtà ma passando attraverso l’umanità di Gesù. La nostra maniera di stare al mondo è la maniera di Cristo. Per me vivere è Cristo scrive San Paolo. E un cristiano che non impara questa “maniera” non è cristiano ma è uno che usa la parola Gesù per dare un nome alle proprie paure, alle proprie insicurezze e alle proprie aspettative ma non ha mai conosciuto Dio, ma solo il dio che si è inventato per poter sopravvivere quando di notte a luce spenta la vita sembra insopportabile. Il nostro Dio è vero perché è vivo, ed è qui. “Egli è qui” scriveva il poeta Peguy, e noi sappiamo che un “qui” che Egli ha scelto è l’eucarestia. Poi c’è il “qui” dei poveri, del prossimo, persino di noi stessi, ma tutti questi “qui” sono vivibili solo se l’eucarestia funziona dentro la nostra vita, solo se l’eucarestia ci ha trasformati in eucaristici: “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. 

1 commento:

  1. Che dire...già il nome del blog (di rimando alla fraternità di Carlo Caretto e ai Piccoli Fratelli del Vangelo) dice tutto. E Tu (se posso permettere di dare del tu) dici bene e diffondi un sano messaggio evangelico. Mi piace molto quanto scrivi e come lo scrivi, preparazione si...ma anche impegno e fervore dello e nello Spirito, che altrimenti tutto è vano... Eucarestia...MIO DIO E MIO TUTTO...DIO VI BENEDICA

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